Home Rubriche Oriente L’estrema estetizzazione della violenza: I Saw the Devil di Kim Jee-woon

L’estrema estetizzazione della violenza: I Saw the Devil di Kim Jee-woon

Il cinema sudcoreano ha avuto un’esplosione di successo negli anni 2000 soprattutto grazie alla celebre trilogia della vendetta di Park Chan-wook, già recensita in passato qui su Jamovie, e la vendetta è diventata uno dei temi preferiti del cinema thriller di questo Paese. Oltre a Park, anche Kim Jee-woon si è dedicato più di una volta a questo tema, dapprima con il bellissimo Bittersweet Life, in seguito con il film di cui parleremo oggi, I saw the Devil, del 2010. Nonostante che ormai questo argomento sia stato trattato in tutte le salse possibili, Jee-woon riesce a creare una storia originale non tanto nel suo nucleo centrale (un uomo che deve vendicare la morte della fidanzata) ma nello svolgimento, capace di tenere lo spettatore con il fiato costantemente sospeso e di fargli provare del dolore fisico grazie alla violenza estrema messa in scena: vi assicuro che, pur essendo al caldo sotto le coperte, la follia vendicativa di Kim Soo-hyeon (interpretato dall’attore feticcio di Kim Lee-woon, ovvero Lee Byung-hun, già protagonista del succitato Bittersweet Life) saprà ferire anche voi e, in più di un’occasione, vi ritroverete a fare smorfie di dolore e ad accartocciarvi su voi stessi come se foste voi le vittime della sua ira.

Della trama non c’è molto da dire, essendo, come già detto, piuttosto “standard”, tipica dei revenge movies. Una ragazza, Ju-yeon, è sul ciglio di una strada, la macchina ferma in attesa del carro attrezzi, sta nevicando, quando un uomo la avvicina offrendole aiuto, che lei gentilmente rifiuta. Dopo pochi istanti, lo stesso uomo, che scopriremo ben presto chiamarsi Kyung-chul, interpretato dal bravissimo Choi Min-sik (divenuto celebre per aver interpretato dapprima il protagonista di Oldboy e, in seguito, il crudele assassino di Lady Vendetta), sfonda il parabrezza dell’automobile della ragazza e la trascina via, portandola nel suo nascondiglio, dove la uccide e la fa a pezzi. Il fidanzato di lei, con l’aiuto del suocero, deciderà di vendicarla, dando la caccia a tutti i sospetti e, una volta individuato il vero colpevole, lo tormenterà con una violenza inaudita.

Il primo incontro tra i protagonisti. Ed è solo l’inizio.

Come risulta evidente, concettualmente il film ha poco da offrire, se non la classica riflessione sulla vendetta: chi è il mostro? Chi uccide o chi vendica? Nulla che Park Chan-wook non abbia già fatto nella sua trilogia. Ciò che rende immenso questo film è la sua forma, la sua estetica sporca, truce e sanguinaria, un’estremizzazione di ciò che abbiamo avuto modo di vedere nei tre film di Chan-wook. La regia è perfetta, la fotografia ed il montaggio lo sono altrettanto. Kim Jee-woon si rivela ancora una volta un regista con gli attributi, tecnicamente uno tra i migliori in circolazione al giorno d’oggi. Molti potrebbero disprezzare questo film proprio perché è tutta forma e niente contenuto, un parere più che condivisibile; tuttavia, la sua mancanza di originalità, viene adombrata, oltre che dalla sua estetica, anche dalla stupenda trovata del ribaltamento di ruoli tra cacciatore e preda. Se, inizialmente, Kyung-chul è il cacciatore, alla ricerca di nuove vittime da uccidere, ben presto diventa la preda di Soo-hyeon, il quale non è interessato semplicemente ad ucciderlo ma lo vuole logorare: ammazzarlo semplicemente non sarebbe una pena sufficiente per il mostro e, quindi, ciò che il personaggio di Lee Byung-hun mette in atto è un lento processo di logoramento e annichilimento fisico ai danni di Choi Min-sik, che mostra una resistenza quasi surreale. I rapporti di potere tra i due personaggi si rovesceranno più di una volta nel corso delle 2 ore e 20 del film, permettendogli di non risultare pesante e noioso nonostante la sua non banale durata.

Molte sono le scene memorabili che costellano questa piccola perla (come al solito ignorata dalla distribuzione italiana), sia per la folle violenza che per la pregiatissima confezione tecnica: dal primo incontro tra i due protagonisti nella serra, all’adrenalinica sequenza del taxi; dal terribile scontro nella clinica in cui Kyung-chul va a farsi curare il braccio rotto, che si conclude con una delle immagini più dolorose dell’intero film, all’angosciante finale. A partire da un “banale” omicidio, una valanga di violenza difficilmente eguagliabile si scatena soffocando lo spettatore, che si ritrova in bilico sul sottilissimo limite tra la meraviglia e l’angoscia.