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Drag me to hell – uno degli horror più importanti degli ultimi anni?

Recensione dell'ultimo horror di Sam Raimi. Flop o capolavoro?

Ma cosa vi aspettavate da questo film? La domanda è rivolta a coloro che si definiscono fans di Sam Raimi ma sono rimasti delusi da Drag me to hell, etichettandolo come stupido e poco emozionante. Mi sento di affermare che, chiunque rilasci affermazioni di questo tipo, non dovrebbe definirsi un patito di Raimi. Siamo di fronte a un’opera che rispecchia in pieno lo stile che ha sempre contraddistinto il suo regista. Tanto sangue, cazzate a tutto spiano come dalla “scuola” di Dino De Laurentiis in cui Raimi è cresciuto.

Dopo un breve sequenza teaser d’apertura, la pellicola fa scorrere i titoli di testa che ci mostrano una serie di documenti antichi, avvolti da un filtro fotografico color seppia che enfatizza l’atmosfera. Questi manoscritti ripercorrono lo storico del boogeyman su cui è incentrata la vicenda. Un intro di questo tipo l’avevamo già visto ne La terza madre di Dario Argento (altro horror recente abbastanza sottostimato a mio avviso).

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L’attenzione si sposta su Christine, una banchiera che si trova a dover scegliere se venire incontro a una vecchia zingara rinnovandole l’ipoteca sulla casa, essendo questa impossibilitata a pagare, o se essere inflessibile per far colpo sul direttore. Christine sceglie di essere dura ma la fattucchiera non prende bene la cosa e le lancia addosso un terribile demone pagano che, da prassi, perseguita le sue vittime per una settimana prima di ucciderle. Questa terribile creatura si chiama Lamia. La trama non può che riportarci alla mente il bellissimo horror del 1996 L’occhio del male e l’omonimo romanzo originale firmato Richard Bachman (pseudonimo che Stephen King utilizzo in un periodo della sua carriera).

A dispetto dei toni da commedia ci troviamo ad analizzare un’opera estremamente profonda e complessa. Non sono necessari sforzi eccessivi per scorgere grandi insegnamenti nascosti tra le pieghe. Il primo aspetto a distinguersi dalla massa è il cinismo di fondo, il cinema americano ci ha abituati a buoni samaritani che ci si aiutano nei momenti drammatici, la famiglia e gli amici sono sempre presenti, esorcisti e medium intervengono eroicamente in aiuto di chi è vittima di possessione per puro spirito di fratellanza. I personaggi di questo film parlano sempre di soldi, li pretendono in cambio dei loro servizi qualsiasi sia la gravità della situazione e viene rappresentata la crisi economica, meglio che in ogni altra pellicola. La protagonista è continuamente pressata da questioni finanziare, solo chi le è veramente vicino la sosterrà nel superare questa disavventura spirituale. Si passa da un estremo ad un altro, chi cinicamente misura l’aiuto che le può offrire con fare da mercante e il suo fidanzato che giustifica le sue azioni, anche quando queste sono riprovevoli, per farla sentire una persona bella e buona. In quest’ultima analisi Drag me to hell si riconduce al coreano Shutter, la morale della “favola” è praticamente identica ma Raimi è un direttore infinitamente più capace di Pisanthanakun.

Effettivamente si nota un certo abuso della computer grafica ma ormai è chiaro, la cgi è l’unico modo che hanno i film di paura classici per sopravvivere, quando non ci si può permettere di far fronte alle più elevate spese richieste dal make up raffinato e agli effetti meccanici. L’orrore è diventato un genere di nicchia, i canovacci delle nuove uscite sono spesso riassumibili in “gruppo di ragazzi, muniti di videocamera, cercano di sfuggire alla strega/mostro/fantasma formaggino” oppure “gruppo di persone viene rapita da maniaco che le rinchiude dentro un fabbricato per torturarle e mutilarle”. È davvero dura per chi vuole rischiarsi di una trama più complessa e artistica, con più ampio respiro a livello di coreografie e situazioni.
Forse a mancare è proprio l’originalità ma quest’opera rappresenta tutto ciò che il meglio dell’horror può offrire. Una summa del cinema alla Raimi e delle sue principali ispirazioni, un composto di jump scare, ma anche splatter e ironia, esattamente come lo erano La casa 2 e L’armata delle tenebre. Si può capire la delusione di chi si aspettava un film trucido e gratuito come Saw o Hostel ma questo è Sam Raimi, perfettamente ibernato dagli anni ’80 e riproposto in un forma più moderna.