Home Speciale Approfondimenti Doppiaggio: cinque film la cui versione doppiata è migliore dell’originale

Doppiaggio: cinque film la cui versione doppiata è migliore dell’originale

Una Anna Karenina un po' troppo francese

Articolo a cura di Vincenzo Politi

Doppiaggio sì o doppiaggio no? È questo il vero dilemma del cinefilo italiano. Certo, una buona versione doppiata è molto più fruibile e immediata. E poi, “i doppiatori italiani sono i migliori al mondo” – come amano dire tutti quelli che non hanno mai visto un film in lingua originale. 

D’altro canto, però, se il volto di un attore è la sua maschera, la voce ne è l’anima. Chi ha mai avuto dubbi sul talento di Nicole Kidman, dovrebbe vedere (anzi, sentire) come fa l’accento del sud degli Stati Uniti nel controverso Paperboy: roba che neppure Meryl Streep! E che dire dell’ottimo accento ceco di tutto il grande cast dell’Insostenibile Leggerezza dell’Essere, di Philip Kaufmann? O dell’accento italiano di Daniel Day-Lewis in Nine? O di quello irlandese di Brad Pitt in The Snatch? Tanti gli esempi di grandi prove interpretative che si ‘perdono’ in sala doppiaggio.

Certe volte, però, ci si guadagna. Perché, nonostante tutto, non è sempre vero che l’originale sia sempre migliore.

Ecco cinque film il cui doppiaggio effettivamente risolve alcuni problemi imbarazzanti dell’originale.

5) I Segreti di Brokeback Mountain (2005)

Diciamolo subito: I Segreti di Brokeback Mountain è un capolavoro. Tratto da un racconto breve di Annie Proulx, il film di Ang Lee decostruisce il mito americano del cow-boy duro e puro, mette in discussione il concetto di mascolinità, svela i meccanismi oppressivi del machismo. Ma il film è soprattutto una grande storia d’amore che, attraverso le vicende sentimentali di due uomini innamorati nell’America rurale degli anni Sessanta, tocca corde universali, commuove. Nel film non ci sono eroi né vincitori. La relazione clandestina fra Ennis del Mar e Jack Twist finirà malissimo. Le rispettive mogli non è che se la passeranno meglio.

Nel 2005, il film fu acclamato dalla critica e premiato dal pubblico. In giro per il mondo, I Segreti di Brokeback Mountain fece incetta di premi: Golden Globes, British Academy Films Awards, London Film Critics Choice, eccetera eccetera eccetera. La pellicola si portò a casa anche alcuni Oscar: miglior regia per Ang Lee, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora.

L’autrice Annie Proulx

Molta fu l’amarezza per l’Oscar al miglior film, inspiegabilmente andato al trascurabilissimo Crash, di Paul Haggis (film e regista, nel frattempo, sono scivolati nel dimenticatoio). Polemiche su polemiche, per quello che da molti è considerato uno dei ‘furti’ più gravi nella storia degli Academy Awards.

Grande delusione anche per la mancata premiazione del grandioso e compianto Heath Ledger. La statuetta come migliore attore andò all’altrettanto grandioso e altrettanto compianto Philip Seymour-Hoffman, nei panni di Truman Capote. La scrittrice Annie Proulx, col dente avvelenato,  scrisse un articolo sul Guardian, difendendo l’interpretazione di Ledger e mettendo in mezzo una cospirazione di Scientology. A bocca asciutta rimase anche Jake Gyllenhaal, che si vide sfilare la statuetta del migliore attore non protagonista da George Clooney.

Ma alla fine che importa? Le polemiche e le statuette le si lasciano al tempo che trovano. I Segreti di Brokeback Mountain rimarrà per sempre nella storia del cinema. Saranno ancora in molti – uomini e donne, etero e gay – a sospirare e commuoversi davanti ai languidi e tormentati abbracci di Ennis e Jack.

Se è così, perché includere tale pellicola in questa lista poco lusinghiera? Perché, se da un lato la vera bellezza sta nell’imperfezione, dall’altro forse la perfezione può causare qualche problema.

Heath Ledger era un perfezionista. In Brokeback Mountain ci regala un’interpretazione magistrale. È talmente calato nella parte di Ennis Del Mar che sembra veramente un montanaro del Wyoming degli anni Sessanta. Che si muove come un montanaro del Wyoming. Che reagisce come un montanaro del Wyoming. E, soprattutto, che parla come un montanaro. Del Wyoming. Degli anni Sessanta.

Un amore incompreso – o incomprensibile?

Nella versione originale, ogni volta che parla Heath Ledger non ci si capisce nulla, ma proprio nulla. Il bello è che non ci capiscono nulla neanche gli spettatori di madre-lingua inglese. Neanche gli americani. Neanche gli americani del Wyoming.

Al punto che viene il sospetto che non ci capisca nulla neanche la povera Alma, interpretata da Michelle Williams. Perché la moglie di Ennis ha la faccia basita tutto il tempo? Perché ha scoperto il segreto del marito? O perché tutto ciò che dice il marito è un segreto a prescindere?

L’incomunicabilità nella vita coniugale

Se persino un americano del Wyoming ha bisogno dei sottotitoli per capire quello che sta dicendo un personaggio del Wyoming, allora forse è il caso di dire a voce alto ciò che per molti è una bestemmia. E cioè che la versione doppiata, se non migliore dell’originale, senza dubbio agevola. Evviva il doppiaggio, dunque. Si perderanno le sfumature del parlato, ma almeno non si perde anche il 90% dei dialoghi!

4) Anna Karenina (1997)

Anna Karenina del 1997 è una delle tante versioni cinematografiche del capolavoro di Tolstoj. Fu diretta da Bernard Rose, regista eclettico che passa con disinvoltura da terrificanti film horror (Candyman – Terrore dietro lo specchio, 1992) a biopics storici (Amata Immortale, 1994). La sua è una versione dagli innegabili pregi. È stata la prima (e unica) pellicola internazionale a essere interamente girata in Russia. Visivamente parlando, ci regala una San Pietroburgo e una Mosca ottocentesche davvero sfavillanti. La sceneggiatura è molto fedele al romanzo, con un buon sviluppo della trama relativa a Konstantin Lévin (vera voce narrante nel romanzo, spesso ignorato o marginalizzato nelle versioni cinematografiche). Peccato che, nonostante tutte queste qualità, nessuno si ricordi più di questa versione. Perché?

Sophie Marceau e Sean Benn

Da un lato, è vero che di adattamenti del grande romanzo russo ce ne sono stati a bizzeffe. Indimenticabili le interpretazioni di Greta Garbo e Vivien Leigh, nei panni della tragica eroina russa nel 1935 e nel 1948 rispettivamente. Molto più trascurabile la versione più recente del 2012, con un’improbabile Keira Knightley. Dall’altro lato, però, bisogna dire che nel 1997 Sophie Marceau fece davvero un ottimo lavoro: passionale, tragica, spregiudicata e folle, la sua interpretazione non sarà ai livelli della Garbo, ma nemmeno a quelli (bassi e macchiettistici) della Knightley.

Il problema, forse, fu proprio il cast. Rose butta la francesissima Marceau in una mischia di attori britannici che fingono di essere russi: Sean Benn, nel ruolo dell’affascinante conte Vronsky, Alfred Molina, in quello di Konstantin Lévin, e tanti altri. Ovviamente, nella versione originale, l’accento francese della Marceau è molto riconoscibile. Non aiuta il fatto che, improvvisamente, gli attori abbandonino l’inglese per recitare due o tre battute in russo. Così, come se nulla fosse. Che gli sarà mai saltato in testa, al regista?

Una Anna Karenina un po’ troppo francese

Forse che, attraverso l’accento normanno della protagonista, Rose volesse sottolineare l’emarginazione di Anna Karenina? Il suo isolamento? L’alienazione della donna borghese nella società moralista della Russia di fine Ottocento? Chissà. Rimane il fatto che l’originale confonde ma non convince. La versione doppiata, invece, livella tutti gli accenti, anche se rimangono le bizzarre incursioni nel russo. Tutto sommato, però, il doppiaggio permette al pubblico italiano di godersi una pellicola  di buon livello, ingiustamente demolita dalla critica e ignorata dal pubblico.

3) Alexander (2004)

Oliver Stone ha fatto tanti bei film. Ha fatto anche, però, tante belle trashate. Fra queste ultime, Alexander è da annoverarsi come quella più grande. Non solo perché il film dura quasi tre ore, durante le quali il regista prova a dire molte cose senza riuscire a comunicare nulla. No. Alexander è un mostruoso polpettone Hollywoodiano che prende la vita di Alessandro Magno e la banalizza senza esclusione di colpi.

Alexander – la locandina

Molte furono le critiche mosse contro la fatica di Stone. Prima fra tutte, l’imprecisione storica. Guerre di dieci anni che si svolgono in due minuti. Generali cinquantenni interpretati da aitanti attori trentenni. L’Impero Persiano che viene chiamato Persia, anche se all’epoca la Persia non esisteva nemmeno. Una versione della magica India talmente magica che non c’entra nulla con l’India che conobbe il vero Alessandro Magno. Una visione molto ‘plastic-fantastic’ del mondo antico.

Per non parlare del cast. Oliver Stone sceglie Colin Farrell per il ruolo del protagonista e Angelina Jolie in quello della regina Olimpiade, la perfida e ambiziosa madre di Alessandro. Due attori in realtà coetanei che interpretano madre e figlio. I risultati sono a dir poco imbarazzanti, tanto che, verso la fine, la madre sembra più giovane del figlio.

Madre e figlio – o fratello e sorella?

Val Kilmer e Jared Leto c’entrano come i cavoli a merenda. Per complicare le cose, tirano in ballo anche il povero Anthony Hopkins, che forse aveva qualche mutuo da pagare. In tutto ciò, nessuno di questi attori ha un minimo je ne sais quoi di greco. Sofia Loren nel ruolo di una svedese bionda che non mangia carboidrati sarebbe molto più credibile.

Nonostante questo enorme scempio storico e estetico, al pubblico italiano è stato risparmiato quello che forse negli USA è stato il colpo di grazia: i dialoghi originali!

Colin Farrell butta le mani avanti per non cadere indietro: non ci prova neanche, tratteggiando un Alessandro Magno dalla parlata Dublinese. Ma si può? In teoria no, non si potrebbe. Se non fosse che, in effetti, c’è chi lo supera quanto a orrore vocale.

Probabilmente posseduta dallo spirito di Sarah Bernhardt, la Jolie si cala completamente nei panni della madre greca, mediterranea e possessiva. La sua interpretazione è feroce, determinata, sicura. E doveva sentirsi veramente molto sicura di sé, la Jolie, nella sua imitazione dell’accento greco. Che però a tratti sembra bulgaro. E, a volte, scivola pericolosamente verso una deriva ben nota: quella della costa californiana. L’effetto finale sembra più adatto a un horror di serie B che a una mega-produzione.

Di Alexander rimane poco o nulla. Un flop al botteghino. L’amarezza per l’occasione mancata. I capelli ossigenati di Colin Farrell. Grazie al doppiaggio, però, nella testa degli italiani non è rimasta la voce temibile di Angelina Jolie, che ancora tormenta le notti di molti malcapitati americani.

2) La Casa degli Spiriti (1993)

Il romanzo di Isabelle Allende, pubblicato nel 1982, fu un successo di dimensioni planetarie. Accolto come uno dei migliori esempi di ‘realismo magico’, interpretato come una ‘biografia romanzata’ della storia del Cile, trasformò la Allende da cugina del Presidente Salvador Allende a erede femminile di Gabriel Garcìa Márquez.

Il best seller di Isabelle Allende

Per la sua versione cinematografica, Hollywood fece le cose in grande. Affidò la colonna sonora a Hans Zimmer. Convocò Jeremy Irons, Meryl Streep, Glenn Close, Winona Ryder, Antonio Banderas, Vanessa Redgrave, Vincent Gallo e chi più ne ha più ne metta. Tutti assieme sotto la direzione dell’abile Bille August, due volte Palme d’Or a Cannes e una volta Premio Oscar come miglior film straniero. E, siccome la classe non è acqua, spese una quarantina di milioni di dollari. Guadagnandocene, però, meno di sei.

Cos’è che andò storto? Come fu possibile un simile spreco di talento?

Molte furono le critiche mosse al film. La prima è che, ovviamente, “il libro è sempre il libro”. Se questo disco rotto parte ogni volta che esce un film ispirato a un romanzo, in questo caso ne succedono davvero troppe per sedare gli animi inviperiti dei fan della Allende. Il film sorvola in maniera spicciola su circa vent’anni di storia, saltando una generazione della famiglia Trueba. Le vicende che nella pellicola vedono coinvolta Blanca, interpretata da Winona Ryder, in realtà comprimono le storie di Blanca e di sua figlia Alba. Il tono melodrammatico del film non rende giustizia al carattere politico del romanzo. E poi, chi glieli porta questi yankees a girare un film sul colpo di stato in Cile?

Glenn Close e Meryl Streep

Tutti motivi più che validi per spiegare l’ostilità della critica, ma non sufficienti per capire il flop al botteghino.

A conferma del fatto che la qualità delle parti non sempre garantisce la riuscita del tutto, il cast eterogeneo diede il colpo di grazia a un progetto cinematografico mal concepito. Secondo i produttori, il pubblico doveva convincersi che Meryl Streep, Jeremy Irons e una Winona Ryder che sembrava fresca di college fossero cileni? E che lo fosse anche l’inglesissima Vanessa Redgrave? Va bene la ‘sospensione del giudizio’, ma poi perché mettere in ballo anche Antonio Banderas, nel ruolo di Pedro il pasionario, giusto per dare quel tocco ‘latino-americano’? Un tocco che però stona con l’accento di tutti, ma proprio tutti gli altri? Tanto più che, per aggiungere trash al trash, quello di Banderas non è nemmeno un accento cileno, ma spagnolo?

Una lingua dell’amore, una babilonia di accenti

Molti i punti interrogativi su questa pellicola ambiziosa ma irrisolta. Ancora una volta, il doppiaggio italiano copre tutti i difetti, uniforma voci, accenti e sfumature, al punto che il film porta ancora a casa la sua percentuale di share ogni volta che lo mandano in televisione. Il tutto agevolato dal fatto che, forse, la maggior parte del pubblico italiano non sa neppure dove stia il Cile e non ha idea di cosa sia stato il golpe del Generale Pinochet…

1) Dracula di Bram Stoker (1992)

Nella sua versione originale, il capolavoro visionario di Francis Ford Coppola è un capolavoro del kitsch. Lo dico così, senza troppi giri di parole. Senza se e senza ma. Perché?

Perché non puoi prendere l’ottimo Gary Oldman, metterlo nei panni del conte più sanguinario di tutti i tempi e non chiamare nemmeno un consulente per dirgli che il suo accento transilvano sembra essere uscito da Colorado Café. Non  puoi costringere l’americanissima Winona Ryder, che comunque ce la mette davvero tutta, a fare la parte della signorina londinese, con un accento che sembra quello della nipote di Stanlio e Ollio.  No, non puoi.

Gary Oldman – un accento veramente pauroso!

Ma soprattutto – soprattutto! – non puoi mettere nel calderone il canadese Keanu Reeves, reduce dalle spiagge di Point Break, che di inglese non ha proprio nulla, nulla! Il suo accento londinese middle-class, infatti, non è che una parodia.

Per giunta, il malcapitato Keanu viene messo di fronte a Anthony Hopkins, diplomatosi alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra e con anni di gavetta al Royal National Theatre. Insomma, una catastrofe annunciata. Ancora oggi, su YouTube, circolano video canzonatori sull’interpretazione del povero Keanu…

Keanu Reeves – il volto della confusione

Sebbene campioni di incassi a livello internazionale, in patria il Dracula di Coppola venne demolito dalla critica. Soprattutto per la cornucopia di accenti improbabili e inverosimili che pepavano il film. Il pubblico americano si consolò con i colori brillanti di Michael Ballhaus, direttore della fotografia amato da Mike Nichols, Rainer Werner Fassbinder e Martin Scorsese, e con la magistrale colonna sonora dell’indimenticato Wojciech Kilar.

Grazie a un doppiaggio quanto mai provvidenziale, noi italiani, ignari di tutte queste polemiche, ci siamo goduti lo spettacolo in un ottimo italiano standard.