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Domino: il figlio disconosciuto di Brian De Palma

Danimarca, 2020. L’agente di polizia Christian Toft (Nikolaj Coster-Waldau) lascia la pistola d’ordinanza a casa distratto da una bella fanciulla che lo invita a non andare via.

Ma l’agente danese è atteso dal suo collega Lars (interpretato da Søren Malling). Ai due tocca una di quelle rogne mattutine, una lite domestica che eviterebbero ben volentieri. Ma questo è il loro mestiere e di certo Copenaghen non è la Little Sicily di Detroit. La chiamata diventa in breve tempo un incubo e il povero Lars viene aggredito da Ezra Tarzi (Eriq Ebouaney), un membro dell’ISIS a cui hanno ucciso il padre. Si scopre che un agente della CIA, Joe Martin (Guy Pearce), ha fatto di Ezra un agente doppiogiochista.

La storia si complica tra relazioni extraconiugali, violenti attentati e pericolosi giochi politici internazionali.

Domino è il figlio non riconosciuto di uno dei più grandi maestri del cinema Brian De Palma. Quindi è bene riportare subito una dichiarazione del regista: “Domino non è un mio progetto. Non ho scritto la sceneggiatura. Ho avuto un sacco di problemi coi finanziamenti, non ho mai avuto un’esperienza così orribile sul set. Una gran parte del nostro team non è ancora stata pagata dai produttori danesi. Questa è stata la mia prima esperienza in Danimarca, e quasi sicuramente sarà l’ultima .”

La pellicola è stata inoltre massacrata in fase di montaggio per ridurla a 89 minuti, per renderla più semplice ed appetibile.

Salvare il salvabile mentre la barca stava affondando. E dopo aver visto il film, la domanda sorge spontanea: come sarebbe stato Domino? Qual’era a monte l’idea del regista? Quel che resta ha più l’aspetto di film per la tv danese, diretto da un giovane devoto al maestro della New Hollywood.

Eppure tanto di depalmiano rimane incollato alla pellicola.

Domino anche se in maniera goffa, è l’ennesima declinazione della tanto amata tematica del voyeurismo. Da Vestito Per Uccidere del 1980 fino a Redacted del 2007, il senso ultimo del cinema di De Palma è stata la manipolazione figurativa del reale. Una speculazione estetica e concettuale sull’immagine menzognera, non gemellare, filtrata.

Brandelli sparsi di cinema che sfociano che sfociano nella sequenza finale nella Plaza de Toros in Almeria, omaggio al maestro Hitchcock e tardiva e inutile consolazione estetica che tanto somiglia ad un falò delle vanità.