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Dolor y Gloria -Il ritorno di Almodóvar – La Recensione

Pedro Almodóvar ha detto che Dolor y Gloria lo rappresentano al 40%, se parliamo di eventi puramente autobiografici, e del 100%, se invece ci riferiamo al senso più profondo del film. La storia è quella di Salvador Mallo (Antonio Banderas), regista e scrittore affermato. Da qualche anno l’uomo non riesce più ad immergersi nel suo lavoro per le condizioni di salute precarie.

Salvador infatti soffre di una vasta gamma di dolori e malesseri, molti delle quali di natura psicosomatica. Insomma un uomo che galleggia.

Invitato a presenziare a un cineforum in cui verrà proiettato Sabòr, il suo film d’esordio, il regista è costretto a confrontarsi con l’attore Alberto Crespo (Asier Etxeandía). Anche lui in fase di lento declino professionale. I due, una volta amanti, non si rivolgono la parola dai gloriosi tempi del loro primo film. Per far fronte ai problemi fisici e per invogliarlo a ricominciare a scrivere Alberto, avvezzo da anni alle droghe, introduce Salvador all’eroina. Tutto nella speranza di sedare i dolori fisici e mentali del regista.

Nel frattempo il film ricostruisce attraverso diversi flashback, l’infanzia di Salvador, quando da piccolo viveva in una sorta di piccola grotta insieme alla madre (Penélope Cruz). Antica tradizione di Paterna, piccolo centro della comunità valenciana. Un po’ “come i cristiani” in epoche lontane. Per rendere quel loculo più simile ad un appartamento, la bella Jacinta convince Eduardo (César Vicente) ad imbiancare ed abbellire la grotta. Ma il giovane corpo dell’aitante imbianchino rappresenterà per il piccolo Salvador l’inizio di una lunga e meravigliosa scoperta fisica e professionale che si chiamerà El primero deseo.

Se la prima parte della filmografia di Almodóvar è un dichiarato omaggio ai suo amori cinematografici di gioventù come Rainer Werner Fassbinder o Marco Ferreri, nella seconda prolifica stagione filmica, l’autore si affida ai toni elegiaci del cinema felliniano.

Le saturazioni cromatiche ora sono meno convinte e le atmosfere sempre più nostalgiche. Registi che parlano di registi ed allusioni metacinematografiche ne abbiamo viste in abbondanza, da Le Mépris di Jean-Luc Godard a di Fellini. Forse mai però un autore ha avuto il coraggio di mettersi a nudo così tanto e con tanta viscerale genuinità. Almodóvar in Dolor y Gloria è completamente svestito davanti al suo stesso obiettivo, nel corpo di un ritrovato Banderas. Suo meraviglioso alter ego. Suo conflittuale Mastroianni. In questa fondamentale tappa artistica l’autore invecchia senza ringiovanire e ringiovanisce senza invecchiare. Il suo cinema matura senza far appello allo stile che lo ha reso celebre approdando ad un (in)felice porto tempestoso ma imponente e sicuro. Sicuro dei suoi mezzi, dell’essenzialità della sua sceneggiatura e della scomparsa dei vezzi stilistici provocatori delle sue prime opere.

Ma soprattutto Almodóvar si mostra in tutto il suo essere amante dell’amore, in ogni sua declinazione. Dalle esperienze sentimentali, all’heimat per le proprie origini, a quello struggente per la madre ormai anziana. Nel frattempo fa i conti con l’avanzare degli anni, ma trova proprio nel suo vissuto, la forza e l’ispirazione per andare avanti e firmare questo nuovo capolavoro.