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Dieci motivi per seguire The Handmaid’s Tale

Ad un anno esatto dall’esordio dirompente e sconvolgente della prima stagione, il 25 Aprile scorso la piattaforma streaming HULU ha sganciato la bomba chiamata The Handmaid’s Tale con due nuovi episodi della seconda attesissima stagione.

Sono bastati i dieci minuti iniziali del primo episodio (non è una quantificazione generica, sono veramente dieci-minuti-esatti) per farci capire che il livello di questa Season Two si mantiene su standard altissimi, con il destino di June/OfFred che viene dispiegato e, nel secondo episodio, con la storyline di Emily (Alexis Bledel) che viene approfondita.
Ma se non sapete di cosa stiamo parlando e non avete idea di cosa siano Gilead, le Ancelle e i Comandanti, allora vi suggeriamo 10 ottimi motivi per convincervi, se ne aveste proprio bisogno, che The Handmaid’s Tale è davvero uno dei migliori prodotti visti in circolazione negli ultimi tempi.

  • IL LIBRO – La serie è tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, che scrisse The Handmaid’s Tale negli anni ottanta. Una distopia agghiacciante ed incredibilmente attuale che impariamo a conoscere grazie ai dieci meravigliosi episodi della prima stagione, i quali ricalcano le vicende del romanzo.

La seconda stagione è quindi in realtà completamente inedita, ma dalle premesse non ci sono dubbi che avremo un altro lavoro di qualità eccellente.

  • MARGARET ATWOOD – Canadese, classe 1939, scrittrice ed attivista per i diritti delle donne.
    Per Hulu diventa anche produttrice e sceneggiatrice della serie, regalando un valore aggiunto soprattutto alla seconda stagione, non più legata agli avvenimenti del romanzo.
    In The Handmaid’s Tale la Atwood si ritaglia anche un piccolo cameo: il minimo per colei che ha ideato un’opera di tale potenza.

  • ELISABETH MOSS – Una sola parola: BADASS.
    Una ferocia così non si vedeva dai tempi di Uma Thurman in Kill Bill, alla quale si accomuna nella disperata ricerca della figlia perduta. Protagonista della serie, legata a doppio filo alle trame dei suoi padroni (il comandante Waterford e la moglie Serena Joy), la sua June/OfFred è una bestia in gabbia sostenuta da un’incrollabile speranza e dalla volontà di riconquistare la libertà perduta.
    Dopo l’indimenticabile Peggy Olson di Mad Men, la Moss alza la posta in gioco e in questa serie diventa semplicemente superba, capace di tenere in piedi da sola interi episodi. Guardare per credere.

  • ALEXIS BLEDEL – Dopo anni di Rory Gilmore, la Bledel ci regala un personaggio complesso e profondo, distante anni luce dalle avventure di Una mamma per amica. Un’ancella ribelle, protagonista di una delle scene più angoscianti della prima stagione, che al pari della OfFred di Elisabeth Moss non accetta il destino di segregazione e sottomissione cui sono costrette le donne.
    Comparsa appena dipinta nel libro, il personaggio della Bledel assume una sempre più precisa identità che nella seconda stagione viene resa ancora più nitida grazie ad un lavoro approfondito di script ma anche, e soprattutto, grazie all’interpretazione della trentaquattrenne nativa di Houston.
    Salutiamo le Gilmore Girls: non c’è posto per loro a Gilead.
  • TUTTI GLI INTERPRETI – Tutto il cast di The Handmaid’s Tale è comunque superlativo ed azzeccatissimo.

 Da Joseph Fiennes ad Yvonne Strahovsky, passando per Max Minghella, Samira Wiley e la rivelazione Madeline Brewer, ogni attore sembra impegnato in una vera e propria gara di talento che migliora di episodio in episodio.

  • LA COSTRUZIONE DEGLI EPISODIThe Handmaid’s Tale non è solo un gioiello di recitazione, ma anche una summa di abilità tecniche messe in campo da talentuosi registi e registe, in primis Reed Morano (che per il pilot della prima stagione ha vinto l’Emmy come miglior regia per una serie drammatica).
    Così al biglietto da visita della serie si aggiungono scelte tecniche pregiate ed un uso sapiente della fotografia, nonché l’abilità di convergere la narrazione in climax da brividi.

  • LA MUSICA – In The Handmaid’s Tale la musica ha un ruolo da protagonista, spesso giocando da elemento dissonante eppure totalmente appropriato.
    Il languido arrangiamento di Heart of Glass proprio dove non ti aspetteresti.
    Così come l’uso di Feeling Good di Nina Simone, trasformano il tessuto musicale della serie in un insieme di trovate del tutto geniali.

  • LE ATMOSFERE – La serie è ambientata in un futuro distopico dove il Nord America si è trasformato nella Repubblica totalitaria di Gilead, un regime teocratico di stampo cristiano.
    Le donne non hanno alcun tipo di potere o valore, eccezion fatta per le mogli dei Comandanti (i signori di Gilead) e per le Ancelle, le quali sono utilizzate per un unico scopo: quello di procreare in un modo dove non nascono più bambini.
    La claustrofobica ed angosciante atmosfera di Gilead ti entra dentro fin dai primi fotogrammi, avvolgendoti in ogni episodio e, per estensione, per tutta la durata della prima stagione.
    Perché Gilead è lontano, è finzione.
    Ma è anche vicino, vicinissimo.
Alexis Bledel, la vera rivelazione della serie
  • I PREMI – Otto Emmy Awards, due Golden Globes, tre Critics’ Choice Awards, due TCA Awards e innumerevoli candidature destinate, prevediamo, a ripetersi.
    Possono bastare?

  • L’ASPETTO POLITICO – La creatura di un’attivista per i diritti delle donne non poteva che diventare un simbolo per le lotte femministe nel mondo.
    Nell’epoca delle Women’s March, del caso Weinstein e dell’hashtag #metoo, è facile individuare in ogni manifestazione tuniche rosse e velette bianche.
    Perché The Handmaid’s Tale è un’opera che si identifica nel presente, soprattutto grazie al potente messaggio che veicola: il sonno della ragione genera mostri.
    Così lentamente da non rendersene nemmeno conto.

Articolo a cura de La Sposa