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Devil at the Crossroads: la storia di Robert Johnson

Questa è una storia maledetta, una storia di vodoo, di tragedie, di spiriti maligni, di whiskey scadente, questa è la storia di Robert Johnson e del giorno in cui vendette la sua anima al Diavolo.

In attesa del docu-film girato da Martin Scorsese sul Rolling Thunder Revue tour di Bob Dylan in uscita il 12 giugno, Netflix propone un interessantissimo portrait del bluesman Robert Johnson intitolato Devil at the Crossroads. L’eredità artistica di Johnson è inestimabile, oltre ad essere stata fonte d’ispirazione per migliaia di artisti come Jim Morrison, Janis Joplin e Kurt Cobain con i quali condivide il celebre Club 27.

Johnson ha rivoluzionato, con il suo stile, il modo di suonare la chitarra, diventando negli anni avvenire, un punto di riferimento per artisti del calibro di Muddy Waters, gli Stones, i Cream di Clapton, Jimi Hendrix, Jeff Beck, i Led Zeppelin e la lista potrebbe continuare per ore. Diretto da Brian Oakes e scritto da Jeff Zimbalist e Michael Zimbalist (i registi di Pelè), ‘Devil at the Crossroads’ si basa sul documentario di John Hammond Jr. del 1991.

Tutto ebbe inizio nei primi del ‘900, nello Stato del Mississippi, Robert Leroy Johnson, è un ragazzino frutto di una relazione extraconiugale della madre con un bracciante locale, uno dei tanti a cui qui piangono sangue dalle mani per il cotone raccolto durante le torride giornate nei campi pieni di mezzadri nell’agricoltura segregazionista del Sud.

Robert ha dieci fratelli, da uno dei quali impara a suonare l’armonica a bocca e il piccolo si appassiona alla musica, passa il tempo con gli altri braccianti e suona per loro anche la chitarra. Ma il talento di Robert è pari alla sobrietà di quello sparuto gruppo di alcolisti. Robert però non demorde e qualche anno dopo è ancora li ad esibirsi maldestramente con alcuni veri bluesman come ad esempio Eddie James “Son” House, che ebbe a dire: “Robert imbracciava la chitarra e iniziava a strimpellare solo per fare rumore e alla gente non piaceva, tanto che venivano a dirci: Perché tu o Willie non andate a dirgli di smetterla? Ci fa impazzire, nemmeno un cane riuscirebbe ad ascoltarlo!”

A 18 anni Robert conosce Virginia Travis, di 15 anni, i due si sposano e la ragazza rimane incinta; il periodo più felice nella vita di Robert, destinato purtroppo a diventare tragedia, quando la giovane moglie muore insieme alla bimba, durante il travaglio.

Robert impazzisce. Si ubriaca e sparisce, una sera qualsiasi. Per mesi di lui non si sa più nulla. Qui finisce la storia e inizia la leggenda.

Allo scoccare della mezzanotte di un giorno come un altro tra la fine del 1930 e il 1931, Robert si trova all’incrocio tra la U.S. 61 e la U.S. 49, la Crossroad più famosa d’America, nei pressi di Clarcksdale, qui incontra un uomo vestito di nero, di lui si sa veramente poco, alcuni dicono che suoni la chitarra nei cimiteri, si chiama Ike Zinneman, ma secondo lo stesso Robert è il diavolo in persona, Satana. A lui Robert vende l’anima pur di saper suonare la chitarra. Dopo pochi mesi di assenza, dopo aver girovagato e pianto le morti di moglie e figlia, Johnson torna dai suoi amici bluesman, che prima lo prendevano in giro.

Secondo molti, non era più lui o meglio aveva uno sguardo diverso, posseduto e quanto al suo modo di suonare, il ragazzo era diventato un autentico prodigio, la sua tecnica sopraffina, misteriose e innovative improvvisazioni, frutto di una tecnica che i musicisti più dotati imparano dopo anni di carriera, non dopo poche settimane di sbronze.

I testi poi erano inquietanti, foschi, misteriosi e continuavano a far riferimento al quell’incontro notturno con il Diavolo, sequenze angosciose e oniriche.

“C’è un mastino infernale sulle mie tracce” scriveva Johnson, che incalzato dagli amici stupefatti, ha imparato a suonare anche polka e country, capace ora di riprodurre nota per nota qualsiasi melodia ascoltasse, anche fosse in un locale affollato, sbronzo e senza una particolare attenzione o sforzo alcuno.

Robert aveva incontrato Satana ed era tornato Johnson, un prodigio o come dicevano gli amici: il sovrano del Blues.

Ma si sa, quando il diavolo ti accarezza….

Il 16 agosto 1938, a soli ventisette anni, Robert Johnson muore in un locale a poche miglia di distanza da Greenwood, dopo aver suonato con Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards. “Morì nel mistero: qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera”. Robert Johnson incise solo 29 tracce, tutte registrate in Texas tra il novembre del 1936 ed il giugno del 1937 grazie a Ernie Oertle, un famoso scopritore di talenti, che imbastì per il giovane e misterioso chitarrista una mini sala di registrazione in una stanza d’albergo.

Tra le sue canzoni c’erano “Sweet Home Chicago”, rilanciata poi dai Blues Brothers, “Cross Road Blues”, e “Me and the Devil Blues” che, come funereo presagio, recita: “Quando hai bussato alla mia porta, io ho detto: ciao Satana, credo che sia il momento di andare.”

Da non perdere.