Home Speciale Approfondimenti Cos’è il cinema? Episodio 1: la scala dei piani

Cos’è il cinema? Episodio 1: la scala dei piani

Quando parliamo di cinema, abbiamo detto nell’episodio pilota della serie, parliamo innanzitutto di fotogrammi, gli atomi cinematografici.
L’unione di più atomi forma una molecola e, continuando la metafora scientifica applicata al cinema, potremmo dire che l’inquadratura è la molecola del cinema.
Una piccola porzione dell’infinità della realtà racchiusa entro i confini materiali del mascherino della macchina da presa.
Le inquadrature sono uno dei più importanti mezzi espressivi di cui dispone il medium cinema, esse sono ciò con cui la trama di un film si materializza, permettendo alla storia di imprimersi sulla pellicola.

 

Le inquadrature si differenziano tra di loro in base a numerosi elementi differenti: dalla scala dei piani all’angolazione della macchina da presa, molti sono i fattori che determinano il “tipo” di inquadratura. In questo articolo ci occuperemo solo della scala dei piani, definibile come l’insieme delle varie distanze, reali o fittizie, che separano la macchina da presa dal soggetto ripreso. Cosa si intende per “reali o fittizie”? Fingiamo di voler catturare un’immagine in cui si veda solo il volto di una persona (primissimo piano, lo vedremo più avanti in questo articolo); per fare ciò esistono diversi metodi: potremmo posizionare la macchina da presa molto vicino all’attore; potremmo posizionarla lontana e semplicemente zoomare sul suo viso; o, ancora, potremmo posizionarla lontana ed utilizzare un teleobiettivo, di cui parleremo in futuro, discutendo delle lenti. Nel primo caso, vediamo il viso da vicino perché la macchina da presa è stata posizionata vicina al soggetto e si tratta, quindi, di una distanza reale; negli altri due, invece, vediamo il volto vicino, come nel primo esempio, sebbene la macchina da presa fosse stata collocata distante dall’attore e parliamo, in questi casi, di distanza fittizia.

Nella scala dei piani è importante fare una netta distinzione tra piano e campo. Nella categoria “piani” si raccolgono tutte quelle inquadrature nelle quali la figura umana (o, in generale, il soggetto) è la protagonista ed ha più importanza rispetto all’ambiente in cui la scena si svolge, mentre i campi, come è facilmente deducibile, sono quelle inquadrature in cui è la location ad avere un ruolo principale. Ma andiamo con ordine.

Capitolo 1. I CAMPI.

Nella nostra disamina della scala dei piani, partiremo da lontano per avvicinarci a poco a poco al soggetto. Cominciamo, dunque, dal campo lunghissimo (CLL): si tratta di un’inquadratura in cui l’ambiente è l’assoluto protagonista, sovrastando la figura umana, la quale o ricopre solo una piccolissima parte dello schermo, o è del tutto assente o, ancora, è presente in quantità così massicce da non permettere di distinguere ogni singola persona (si pensi, ad esempio, alle scene di guerra in cui vediamo due eserciti scontrarsi, senza riuscire a vedere ogni soldato). Il perfetto esempio di questo tipo di inquadratura è quello dei titoli di testa di Per qualche dollaro in più, secondo capitolo della “trilogia del dollaro” di Sergio Leone: in questa sequenza, la macchina da presa è collocata molto in alto, viene da pensare sul bordo di un precipizio, e cattura il deserto americano, nel quale vediamo qualcuno muoversi, un uomo a cavallo, mentre le scritte scorrono sullo schermo, accompagnate dalle note di Ennio Morricone. Non riusciamo a riconoscere quell’uomo, che, per quanto ne sappiamo a questo punto del film, potrebbe anche essere una donna, perché è molto lontano. Però, grazie alla potenza espressiva di questa inquadratura, sappiamo una cosa: chiunque egli o ella sia, si tratta di una persona solitaria. Il campo lunghissimo, infatti, è l’inquadratura che sottolinea con maggior forza la solitudine del soggetto, qualora fosse presente, o che meglio descrive l’ambiente in cui l’azione si svolge.

Il campo lunghissimo nei titoli di testa di “Per qualche dollaro in più”.

Avvicinandoci leggermente alla figura umana, incontriamo il campo lungo (CL), in cui la figura umana, pur subordinata all’ambiente, occupa una maggior porzione di spazio all’interno dell’inquadratura, rispetto al CLL. Anche in questo caso, non è facile riconoscere i personaggi e, da un punto di vista puramente narrativo, assume un ruolo quasi identico a quello del campo lunghissimo, sebbene la sua potenza sia di poco inferiore. Un campo lungo molto bello è quello che troviamo all’inizio di Barry Lyndon, il capolavoro (uno dei tanti) di Stanley Kubrick, nel quale assistiamo ad un duello tra due persone. La voce narrante ci spiega cosa sta succedendo, mentre osserviamo interessati lo “spettacolo”. Tuttavia, il Maestro ha deciso di tenersi lontano dall’azione, di riprenderla con freddo distacco, perché il protagonista del film non è presente nell’azione. Non dobbiamo interessarci più di tanto a quello che sta accadendo in questa scena. Un altro, bellissimo esempio è quello del finale di Det sjunde inseglet, Il settimo sigillo, di Ingmar Bergman, in cui vediamo quasi tutti i protagonisti del film in fila indiana, tenendosi per mano, dietro alla Morte (personaggio, tra l’altro, tra i più potenti e affascinanti della storia del cinema), mentre camminano su di una collina, stagliati verso il grigiore delle nuvole che ricoprono il cielo, in una delle scene più iconiche della filmografia bergmaniana.

Il bellissimo campo lungo nel finale de “Il settimo sigillo”.

Nel campo medio (CM), la figura umana occupa circa metà dell’altezza dell’inquadratura e riusciamo a distinguere meglio i volti e a leggere le espressioni dei personaggi. Usata spesso come semplice mezzo descrittivo, il campo medio è il giusto compromesso tra presenza dell’ambiente e del soggetto, che assumono, più o meno, la medesima importanza nell’economia dell’inquadratura. L’esempio qui sotto è tratto dal film Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro: in questa inquadratura vediamo il protagonista, Mike, inginocchiato dopo aver messo il piede sopra una mina nel bel mezzo di un deserto. È impotente, ha paura. Per la prima volta nel film, con questa inquadratura, riusciamo a percepire tutta la “minacciosità” del deserto, nonostante che in precedenza siano stati usati CL e CLL, e la debolezza del protagonista dinnanzi al suo fato. Il campo medio, facendoci ben vedere la figura di Mike, di spalle, e riuscendo a riprendere anche il deserto di fronte a lui, riesce a mettere in relazione i due elementi dell’inquadratura, l’uomo in ginocchio davanti alla Natura e al suo destino.

Il campo medio in “Mine” di Fabio & Fabio.

L’ultimo campo presente in questa scala è il campo totale (CT), o semplicemente “totale”, che serve a descrivere nella sua totalità, da cui il nome, un ambiente, aperto o chiuso che sia. Numerosi sono gli esempi che se ne potrebbero fare, uno su tutti quello di Arancia meccanica del succitato Kubrick, nella scena in cui Alex DeLarge, ormai in prigione, ha la sua ora d’aria e, insieme agli altri carcerati, cammina in cerchio nel cortile della struttura. Vediamo l’angusto spazio aperto per intero, vediamo i prigionieri camminare costretti ad un percorso limitante e limitato. Un altro bellissimo esempio è quello che ci offre Hayao Miyazaki in Nausicaä della valle del vento, nel quale vediamo la protagonista nel suo laboratorio segreto nel quale coltiva varie piante. La vediamo china su un tavolo, il volto nascosto tra le braccia conserte: anche senza vedere il film, guardando semplicemente un frame di questa scena, capiamo che non sta vivendo una situazione piacevole e, probabilmente, quel luogo è una sorta di rifugio per lei e il regista ha optato per un campo totale per non invadere l’intimità del momento difficile che sta passando Nausicaä e per permetterci di osservare l’ambiente, senza interrompere l’inquadratura con dettagli delle piante, per mantenere intatta la tensione drammatica che la protagonista sta vivendo.

Il totale della stanza segreta di Nausicaä in “Nausicaä della Valle del Vento”.

Capitolo 2. I PIANI.

Finalmente giungiamo ai piani, le inquadrature in cui è il soggetto e non l’ambiente ad avere la maggior importanza. E partiamo dal piano chiamato figura intera, nel quale il soggetto occupa tutta l’altezza dell’inquadratura e serve per mostrarci un personaggio nella sua completezza e spesso viene seguito da un primo piano o, in generale, da un’inquadratura più ravvicinata. Uno dei più celebri esempi di figura intera nella storia del cinema è, ancora una volta, tratto da un film di Stanley Kubrick, ovvero Shining. Vediamo il piccolo Danny vagare per i corridoi dell’Overlook Hotel a bordo del suo triciclo, fino a quando incontra due figure misteriose, già viste in precedenza, ed inquietanti. Le due gemelle vengono riprese in piano totale, per permetterci di analizzarle appieno, in modo da imprimerle nella nostra mente e non dimenticarle mai più e solo dopo vediamo un loro mezzo primo piano (di cui parleremo più avanti). Nell’immagine qui sotto, invece, possiamo vedere una figura intera di spalle tratta da uno dei più bei film degli ultimi anni, La La Land di Damien Chazelle. Emma Stone stava per dare buca a Ryan Gosling, per andare ad una cena con il fidanzato e degli amici. Però, annoiata, ci ripensa e corre da Gosling, che si era presentato puntuale all’appuntamento al cinema. Il film che dovevano vedere è già iniziato, lui è seduto al suo posto. Lei arriva di corsa e sale sul palco per osservare il pubblico presente, in modo da individuare il ragazzo di cui si è innamorata. La forte luce del proiettore la illumina e noi riusciamo a vedere solo la sua sagoma in ombra, perché la Stone è ripresa di spalle. Riusciamo a percepire la magia del momento, la magia del cinema e l’ansia di lei di trovare Gosling.

Emma Stone in figura intera nel bellissimo “La La Land” di Damien Chazelle.

Il piano americano (PA) è un’inquadratura in cui il soggetto viene ripreso dallo stinco o dal ginocchio in su. La leggenda vuole che sia stato inventato in America, nei film western, per ritrarre i cowboy nel momento in cui, in un duello, dovevano estrarre la pistola. Per quanto questo tipo di inquadratura sia usata moltissimo nel panorama western, nell’esempio qui sotto vediamo un frame di Pietà di Kim Ki-duk. Il protagonista incontra una donna misteriosa che gli porge un pollo. Già a partire da questa inquadratura capiamo che il rapporto tra i due sarà estremamente conflittuale, dato che questo primo incontro viene mostrato quasi come se fosse un duello, per mezzo del piano americano. Vediamo il volto molto poco sereno della donna, sentiamo l’insicurezza del protagonista, di spalle, e, in generale, respiriamo un’atmosfera di tensione, resa ancora più pesante dal luogo in cui la scena si svolge, uno stretto vicolo dai colori spenti.

“Pietà” di Kim Ki-duk: la tensione del piano americano.

Il mezzo primo piano (MPP) comincia ad avvicinarsi molto al personaggio e lo riprende a partire dalla vita in su. Un po’ più distaccato del primo piano, serve per mostrarci bene l’espressione facciale dell’attore e per poterne leggere la psicologia e i pensieri, senza però invaderne l’intimità. Tornando a Shining, non si può non citare il bellissimo mezzo primo piano di Jack Nicholson che sancisce l’inizio della sua discesa nel delirio. Quello sguardo così folle ma assente, quasi impersonale, viene ritratto da Kubrick con crudele distacco, rendendolo estremamente inquietante. Vorremmo avvicinarci di più a Nicholson, per poterne meglio leggere la mente, ma non possiamo, siamo costretti a svolgere il ruolo di impotenti spettatori della sua pazzia, che entro poco si sfogherà in un impeto di violenza e crudeltà estreme.

L’inquietante mezzo primo piano di Nicholson in “Shining” di Stanley Kubrick.

Avviciniamoci ancora di più all’attore ed incontriamo il primo piano (PP), in cui il personaggio viene ritratto a partire dalle spalle. Ora vediamo bene il suo volto e possiamo immedesimarci meglio, possiamo cogliere tutte le sfumature della sua mente e i suoi pensieri in un preciso momento. Come in questo bellissimo primo piano in Love exposure di Sion Sono. Vediamo Yuko, una ragazza che odia il genere maschile, esperta di arti marziali e ammiratrice delle grandi donne del rock, oltre che devota, come la donna che la accudisce, a Cristo, anche se in modo molto blando. La vediamo con la testa coperta da un sottile e leggero velo, intenta a pregare. Dietro di lei, sfocati, si intravedono dei ragazzi che la osservano. E sul suo viso leggiamo tutta la sua determinazione e il suo disprezzo, mentre è intenta a pregare. È facile intuire cosa accadrà di qui a poco. Il suo volto e i suoi pensieri sono in totale disarmonia con il credo al quale ha deciso di aderire, seppur superficialmente: quelle stesse mani che ora sono unite in preghiera, entro poco, si trasformeranno in uno strumento punitivo formidabile.

Analisi psicologica e contraddizioni nel primo piano di Yuko in “Love exposure” di Sion Sono.

Ancora più vicini. Il primissimo piano (PPP) ci mostra solo ed esclusivamente il volto del personaggio, non ci fa vedere altro del suo corpo, e svolge un ruolo pressoché identico a quello del primo piano, seppur con una maggior intensità. È l’inquadratura che più sviscera la psiche del personaggio, come accade in questa stupenda scena di The face of another, diretto da Hiroshi Teshigahara. Il protagonista, costretto ad indossare delle bende che gli coprono il viso in seguito ad un incidente sul lavoro, si rivolge ad un medico per farsi costruire una maschera. Nello studio del dottore, si avvicina ad un vetro sul quale sono raffigurate le linee dei muscoli di un volto umano. Una sovrapposizione di immagini diegetica, non in fase di montaggio, che ci mostra, nonostante le bende, il desiderio del protagonista di tornare ad avere una faccia, di tornare a vivere una vita normale, con normali rapporti personali. Riusciamo a scavare a fondo nella sua mente grazie ad una semplicissima inquadratura anche senza vedere il film. Solo da questa immagine si può benissimo intuire il disagio psicologico vissuto dall’uomo, il suo sogno di condurre nuovamente un’esistenza come quella di tutti gli altri: questo è quello che un grande regista può fare con una sola, semplicissima inquadratura.

La potenza espressiva del primo piano in “The face of another” di Hiroshi Teshigahara.

Giungiamo, finalmente, all’ultimo gradino della scala dei piani, il tipo di inquadratura più stretto possibile. In verità, quest’ultimo gradino si suddivide un due parti, a seconda del tipo di soggetto. Parliamo, infatti, di particolare quando ci troviamo di fronte ad un’inquadratura estremamente ravvicinata ad una singola parte di un corpo; il dettaglio, invece, è il medesimo tipo di inquadratura ma applicata ad un oggetto. Moltissimi sono i meravigliosi esempi che si potrebbero fare, come le inquadrature dell’occhio di David nella sequenza dello Stargate nel massimo capolavoro kubrickiano, 2001: odissea nello spazio; o, ancora, il particolare dell’occhio in Requiem for a dream di Darren Aronofsky, quando i personaggi assumo sostanze stupefacenti; oppure, quello mostrato qui sotto, tratto da Nymphomaniac di Lars Von Trier. La protagonista, Joe, ha assistito il padre in ospedale, in gravi condizioni. Un giorno, l’uomo muore, facendo soffrire enormemente la figlia, la quale ha una strana reazione fisica, che la ha fatta stare ancora peggio: una lubrificazione. Il suo corpo ha reagito alla morte del padre come se fosse in attesa di avere un rapporto sessuale. E Von Trier ci mostra questo drammatico evento con un bellissimo particolare delle gambe della ragazza, sulle quali una goccia all’apparenza innocente corre. Non molto viene lasciato alla nostra immaginazione e abbiamo la conferma di quanto abbiamo supposto quando la voce narrante (quella di Joe in età più matura) ci dice “Mi sono bagnata”, con un enorme disprezzo per sé stessa.

Una strana reazione ad un tragico evento: il particolare in “Nymphomaniac” di Lars Von Trier.