Home recensioni biografico Copia Originale – La Recensione

Copia Originale – La Recensione

Questa è una storia di outsider, di emarginati, di alcolisti. Questa è una biografia in declino di una truffatrice di talento. Una mesta parabola ambientata in una New York ancora analogica (ma per poco) dove si scrivono e leggono lettere battute a macchina. Questa è una storia di scadenti bar e scadenti whisky, di sbronze tristi e di false amicizie. Questa è la storia di Lee Israel.

Misantropa per necessità esistenziale, vive con l’amore della sua gatta in un appartamento abbandonato a se stesso. Puzzolente a causa dei bisogni che l’amorevole felino ha depositato sotto il letto. Scrittrice in crisi con il suo scarno pubblico e con l’agente nazista, Lee, donna tutto d’un pezzo, decide di imbarcarsi nel personalissimo racket delle imitazioni e delle contraffazioni di lettere di un epoca passata. Drammaturghi e attori come: Noël Coward, Fanny Brice, Katherine Hepburn, Dorothy Parker, Tallulah Bankhead e Estée Lauder.

Un talento naturale quello della Israel, capace non solo di scrivere con un’eleganza perduta, ma anche di ricreare lo spirito flamboyant del Grande Gatsby.

Ma le case editrici non intuiscono il suo dono di scrittrice e preferiscono indirizzare i fondi verso altre parti. “Quel pallone gonfiato macho di destra” di Tom Clancy ad esempio, come dice la stessa Lee, viene pagato 3 milioni di dollari! Che giustizia balorda.

Il suo complice e compagno di sbronze è Jack (un meraviglioso Richard E. Grant), dandy omosessuale elegante e in via d’estinzione. Una coppia di malfattori, esilaranti e al contempo malinconici, incapaci di sfangarla e di uscire dal loro status di perenni losers e di drinking buddies (o forse dovrei dire drunking).

“Can you ever forgive me?”, maledetto sia chi ha avuto la brillante idea di tradurlo con il titolo “Copia Originale”, è un film accuratissimo. Una pellicola che centra in pieno la psicologia dei personaggi e la loro parabola esistenziale. Che catapulta lo spettatore nel cuore di una Ny decadente, non quella frenetica di Wall Street, ma quella borderline di Midnight Cowboy.

I meriti si distribuiscono equamente. Intanto il libro omonimo e autobiografico pubblicato dalla Israel a metà Anni ‘90, da cui Nicole Holofcener e Jeff Whitty hanno tratto una sceneggiatura essenziale che ha ricevuto anche la candidatura agli Oscar. Quindi la regia attenta di Marielle Heller che (anche se nata in California) proviene proprio dal circuito indie della est coast. Ma ovviamente in primo piano c’è lei la regina Melissa McCarthy, calata perfettamente nella parte e che insieme alla Colman hanno reso la categoria delle interpretazioni femminili agli Oscar 2019, tra le migliori di tutti i tempi. “Una Dorothy Parker migliore di Dorothy Parker”.

Ma la storia di Lee Israel è anche una velenosa critica all’ipocrisia della Ny bene, dei suoi party raffinati, del caviale ornamentale e dell’arte mainstream fatta (e venduta) nei salotti borghesi e non nelle bettole bohemiene dalle quali arriva il vero talento. Qui forse ritorna la festa lisergica e warholiana dove s’imbattono Dustin e John nel già citato capolavoro di John Schlesinger. In fondo poi il finale tra i due film non è poi tanto dissimile.

La Florida è lontana e forse l’american dream o è solo una lettera ingiallita dal tempo o è un falso.