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Il cinema italiano è vivo: La terra dell’abbastanza (2018)

Negli ultimi anni stiamo assistendo in campo cinematografico ad un rinnovato interesse per il tema della periferia, soprattutto quella romana.
Anche i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, con la loro opera prima La terra dell’abbastanza, hanno deciso di trattare questo delicato argomento: inserendosi in una tradizione che da Pasolini arriva all’ultimo Caligari, raccontano di un mondo spesso dimenticato, visto attraverso gli occhi dei più giovani, che si trovano a dover affrontare questa realtà pur non essendo ancora del tutto pronti.

Tra questi ragazzi ci sono Mirko e Manolo, amici inseparabili, figli del proletariato della periferia romana, due ventenni come tanti, che fantasticano sul loro futuro una volta usciti dalla scuola alberghiera.
Tutto il mondo sembra però crollar loro addosso quando, una sera, involontariamente investono e uccidono un uomo per strada.
I due non sanno che fare e si rivolgono al padre di Manolo, che li rassicura in quanto non c’è nessun testimone del fatto e li esorta a fare finta che nulla sia accaduto.
Ma, dopo pochi giorni, lo stesso padre scopre che la vittima è un pentito che apparteneva ad un piccolo clan del luogo.
Convince quindi il figlio a prendersi i meriti dell’ omicidio, così da poter entrare nelle grazie della famiglia criminale e iniziare una nuova vita nel mondo della malavita che possa riscattarlo dalle sue umili origini.

Ben presto anche Mirko viene coinvolto nel giro: poco alla volta i due ragazzi, attratti dal prospetto di una nuova esistenza lontano da miseria e povertà, si fanno trascinare in questa spirale di violenza e delinquenza.
Tra droga, prostituzione, traffico di esseri umani, estorsioni, Mirko e Manolo sbattono contro la dura realtà della malavita, perdendo lentamente i contatti con i loro cari e alienandosi dalle loro precedenti vite, fino al tragico finale, intriso di un pessimismo Verghiano che lascia poco spazio a speranze e pensieri positivi.

Quella che troviamo ne La terra dell’abbastanza non è la Roma cantata da Venditti, non è la Roma vista nei film di Corbucci o Monicelli, quella fatta di stradine e vecchi palazzi, abitata da gente umile ma orgogliosa, carica di poesia e romanticismo.
Al contrario è la Roma di periferia, una terra di nessuno trascurata dallo Stato dove vige la legge del più forte, dove la gente vive alla giornata e le prospettive sono poche o nulle, dove per svoltare si è disposti a tutto e anche di più.

Ma La terra dell’abbastanza non vuole solo denunciare la miseria di questi luoghi: i fratelli D’innocenzo infatti ci offrono un interessantissimo squarcio introspettivo sulla gioventù di oggi.
Una generazione abbandonata a se stessa, sempre meno speranzosa nel futuro e che rischia di perdersi cercando il successo economico attraverso la via più veloce e rischiosa (e spesso anche illegale), senza avere reale consapevolezza delle conseguenze delle loro azioni.
I due protagonisti si trovano coinvolti in qualcosa più grande di loro, ma le alternative sono poche o nulle, e anche se il rischio è elevato i soldi guadagnati li spingono a continuare.

È perchè pensi, non pensà…sfogati, fai regali, compra.
Questo è il consiglio di Manolo a Mirko in un momento di crisi dell’ amico: soltanto il fine economico può giustificare il loro agire senza morale, solo in questo modo riescono a liberarsi dal peso delle loro azioni e zittire la flebile voce della coscienza, quell’innato senso di giustizia che tutti noi abbiamo.
I fratelli D’innocenzo girano un film realista e privo di ogni retorica, che fa buon utilizzo della scuola del nuovo noir italiano (Placido, Sollima), inserendo però molti elementi personali e originali.

La violenza viene mostrata solo quando necessario o addirittura  viene volutamente nascosta, riuscendo a caricarla di significato e potere evocativo.
I due fratelli dimostrano nonostante la giovane età un’ottima padronanza del mezzo cinematografico e una superba capacità nella gestione degli attori, che ci offrono delle splendide interpretazioni; oltre ai due protagonisti Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti, praticamente esordienti, è necessario segnalare anche le performance di Max Tortora nel ruolo del cinico e ludopatico padre di Manolo e Milena Mancini nei panni della madre depressa di Mirko.
La fotografia è curata da Paolo Carnera che porta la sua esperienza e plasma un’atmosfera cupa e grigia che ben rispecchia gli animi dei protagonisti.

L’entrata nel mondo del cinema dei fratelli D’innocenzo, coronata dall’assegnazione del nastro d’argento al miglior regista esordiente e del Premio Caligari al miglior film, ci fa  ben sperare per quanto riguarda la tanto agognata ripresa del cinema italiano.

Articolo a cura di Alberto Viganò