Home recensioni biografico Capone (2020): Cupo biopic con uno straordinario Tom Hardy

Capone (2020): Cupo biopic con uno straordinario Tom Hardy

La vita di Alphonse Gabriel Capone si divide in due parti.

La prima ci parla di “Al”, un mafioso senza scrupoli, simbolo del gangsterismo italo americano. Temuto e rispettato, su quest’uomo e icona sono stati scritti libri e film a partire dal 1932 con Scarface, capolavoro di Howard Hawks. Poi c’è una seconda parte di questa storia. Una vicenda più triste e umana che parla di un vecchio che tutti chiamano Fonse, affetto da una demenza derivata dalla sifilide, provato duramente da un ictus, dalla polmonite. Tutto questo a soli 48 anni.

Quest’ultimo anno di vita, è al centro della pellicola Capone diretta da Josh Trank (autore del bellissimo Chronicle) e interpretato da un’immenso Tom Hardy.

Questo biopic su Capone non è una glitterata agiografia, un elegante e stiloso “romanzo criminale”.

Piuttosto un viaggio negli inferi di una mente malata che rigurgita il suo passato violento alla ricerca di un fantomatico bottino nascosto, di cui il vecchio uomo non ha più memoria.

Fonse deve fare i conti con i suoi personali fantasmi, alla ricerca del perdono, di redenzione per il male fatto, gli amici uccisi, gli affetti abbandonati.

Confessions of a Dangerous Mind che si apre e si chiude non a caso con un lauto banchetto nel giorno del Thanksgiving Day, quando tutti i parenti e nipoti del boss ringraziano per l’abbondanza. Chi deve ringraziare Al Capone? E per cosa? Se si esclude una follia lisergica nel meraviglioso ed evocativo finale, quell’uomo non esiste più. Ora c’è solo il vecchio Fonse che non ricorda più nulla di quei soldi e che si caga addosso nei momenti meno opportuni.

Il merito principale di Josh Trank è quello di gestire il delicato rapporto tra verità e fantasia, tra il presente e il passato, costringendo lo spettatore ad un’anomala esperienza immersiva. In questa bubble filmica il regista alterna umana sofferenza al ricordo di lontani e perduti fasti, pietas innanzi al deperimento fisico e momenti di follia granguignolesca.

Anche se a volte i flashback possono risultare slegati, la loro valenza allegorica, figurativa contribuisce a dare spessore al film, mentre la struttura narrativa della pellicola rimane coesa e solida nel suo fine ultimo.

Brava come sempre Linda Cardellini nei panni di Mae Capone, Kyle MacLachlan in quelli dell’ambiguo dottor Karlock e ovviamente Matt Dillon. Il protagonista assoluto però rimane ovviamente l’attore di Hammersmith con quel pesante trucco posticcio che non riesce neanche per un istante ad attutire l’impatto emotivo della sua interpretazione. L’inarrivabile modulazione vocale (in questo è uno dei migliori attori degli ultimi 20 anni) gli permette di trovare raffinati momenti humour in un contesto così emotivamente provante.

Il Capone di Tom Hardy non ha niente da invidiare a quello di Rod Steiger o a quello di Robert De Niro.

Ultimo necessario plauso va alla colonna sonora di Jaime Meline in arte El-P, polistrumentista, produttore e collaboratore di artisti come Beastie Boys, Radiohead, Björk, Eminem, My Bloody Valentine e tanti altri.

Biopic anomalo e doloroso, troppo cupo e laconico per piacere a tutti.