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Border – Creature di confine

Border è una storia di creature magiche, un thriller d’essai dalle algide eppur emozionali atmosfere scandinave.

Il titolo fa riferimento al mestiere di Tina (Eva Melander) doganiera, dalle fattezze animalesche, ma dotata di un fiuto eccezionale. Ma Border è anche quel sottile confine tra il reale e il folklore, tra il naturale e il soprannaturale, umano e non umano, maschile e femminile. Il film di Ali Abbas, ha vinto il Premio Un certain regard al 71° Festival di Cannes. Ha inoltre rappresentato la Svezia ai premi Oscar 2019 nella categoria per il miglior film in lingua straniera.

La pellicola è tratta da un racconto di John Ajvide Lindqvist. Forse qualcuno lo ricorderà per due cose: la prima è l’oltraggioso e scomodo appellativo di essere lo Stephen King scandinavo, la seconda è che dalla sua penna è uscito fuori Lasciami entrare. Al successo del romanzo e delle due trasposizioni cinematografiche (nel 2008 quella svedese di Tomas Alfredson, e due anni dopo il remake americano di Matt Reeves) è seguito appunto Border.

Storia lineare e disturbante, il film narra le vicende di questa giovane donna, combattuta tra integrazione o emarginazione dalla società degli umani.

Tina ha sempre preso per vera la favoletta raccontatagli dal padre, ossia che il suo aspetto a dir poco bizzarro sia stato il frutto di un cromosoma difettoso. Ma quando Tina incontra Vore (Eero Milonoff), un misterioso uomo/animale dalle fattezze simile alle sue, la sua vita cambia definitivamente. I due danno libero sfogo ad un’anomala relazione fisica a dir poco bestiale, rivelando infine la vera natura di Tina.

Border si affida al realismo magico zuławskiano (Possession, capolavoro del 1981), e deve molto anche alle gravidanze demoniache di Roman Polański (Rosemary’s Baby, 1968).

Ma ci mette del suo. Intanto Border è un doloroso coming of age che passa attraverso l’incertezza di genere sociale e sessuale. Contemporaneamente il film di Ali Abbas (svedese di origini iraniane) riesce ad essere attuale anche nelle sue inevitabili derive politiche, soprattutto, riflettendo sull’idea di una distorta coabitazione socioculturale. Un fantasy ambiguo e difficilmente collocabile. Anche nelle sue incertezze narrative (l’indagine su un caso di pedofilia), Border è un’opera spiazzante, ibrida, respingente e provocatoria.

Un film che non si dimentica tanto facilmente.