Home Rubriche Oriente Bluebeard di Lee Soo-youn: un eccellente thriller mediocre.

Bluebeard di Lee Soo-youn: un eccellente thriller mediocre.

Un dottore, una famiglia di macellai, donne misteriosamente scomparse e ritrovate senza testa diverso tempo dopo. Bluebeard di Lee Soo-youn è un thriller psicologico che si regge su dei cliché già visti e rivisiti in molte altre pellicole appartenenti a questo genere, colpi di scena ovvi a causa del bagaglio culturale cinematografico dello spettatore. Tuttavia, il film della regista coreana risulta estremamente gradevole e capace di divertire. Esatto, Bluebeard è un film divertente, per due principali motivi: innanzitutto, perché stimola lo spettatore a cercare quante più citazioni possibili, essendo veramente denso di omaggi al cinema di Hitchcock, Polanski e chi più ne ha ne metta; in secondo luogo, perché, pur avendo dei colpi di scena prevedibili, riesce ad instillare l’ombra del dubbio in chi guarda, stimolandone la costante riflessione.

Il ritorno alla macchina da presa dopo quasi 15 anni dopo l’eccellente film di debutto, The Uninvited, Lee Soo-youn realizza un’opera complessa non solo per quanto riguarda l’aspetto narrativo, sul quale torneremo più avanti, ma anche quello visivo. Spesso i quadri si sviluppano su più livelli e vengono caricati di indizi visivi subdoli e subliminali, a prima vista ignorati ma, conoscendo il finale, evidenti ed ovvi. Per esempio, un’ombra che, ad una visione superficiale, pare semplicemente una scelta stilistica interessante ma nulla più, una volta svelato il mistero, quell’inquadratura assume tutto un altro significato e diventa un indizio che elimina molti dei dubbi che la trama e i personaggi hanno fatto sorgere nel pubblico.

Il protagonista di Bluebeard in una delle inquadrature fondamentali del film.

I grossi problemi di questo film risiedono tutti nel piano narrativo. La regista, infatti, ha voluto riempire la pellicola di critica sociale ricoprendo un enorme spettro di argomenti, dalla lotta sociale al razzismo, dallo strozzinaggio al riscaldamento globale. In questo modo, la narrazione viene enormemente appesantita da spunti di riflessione che vengono solo accennati e mai approfonditi. L’attenzione dello spettatore, a lungo andare (il film dura circa due ore), si disperde nell’immensità di stimoli superficiali che le vengono lanciate addosso dalla sceneggiatura, rendendo il film leggermente più pesante e meno efficace di quello che avrebbe potuto essere in potenza. Una sceneggiatura più asciutta e scarna avrebbe senza dubbio reso assai più inquietante il risultato finale, che comunque si attesta su un buon livello.

In un panorama thriller-horror così ricco e denso di lavori eccellenti come quello sudcoreano, Bluebeard viene messo in ombra da altri film immensi come Train to Busan di Yeon Sang-ho o The Wailing di Na Hong-jin, risultando inferiore sotto molti punti di vista, in primis quello della sceneggiatura. Questo è il “problema” di un Paese che ha un’ottima produzione cinematografica: i film buoni risultano mediocri rispetto a (semi)capolavori realizzati negli stessi anni. Un problema a cui non siamo più molto avvezzi.