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Bandersnatch: la scelta è davvero nostra?

Bandersnatch: questo è il titolo dell’episodio speciale proposto da Black Mirror. Rilasciato su Neflix lo scorso 28 Dicembre, si propone come un’opera interattiva, scritta da Charlie Brooker e diretta da David Slade. La storia si modifica in base alle scelte degli spettatori tra due opzioni e con soli 10 secondi di tempo per decidere. Se nessuna scelta dovesse essere fatta, sarà l’episodio a scegliere per lo spettatore. Bandersnatch potrebbe essere il prototipo di una nuova categoria che in futuro potrebbe avere un’enorme richiesta.

1984, Il protagonista è Stefan (Fionn Whitehead), giovane programmatore alle prese con la creazione di un nuovo e complesso videogioco, Bandersnatch. Il ragazzo prende ispirazione dal libro-gioco di Jerome F. Davies, che diventa un vero e proprio punto di riferimento ossessivo per lui. Stefan ha il sogno di lavorare per la Tukersoft, compagnia di videogame in espansione, con la quale riesce a fissare un appuntamento, mostrando un primo prototipo del gioco.

Lo scegliere Davies come proprio punto di riferimento non è una casualità. Nel corso dell’episodio viene spesso sottolineata la follia che lo aveva contraddistinto in vita, in quanto durante la stesura del libro, uscito di senno, si sarebbe macchiato di uxoricidio. La psiche dello stesso Stefan è molto fragile a causa di un trauma infantile e in procinto di crollare divisa tra le attenzioni del padre, i colloqui con la psicologa e lo stress provocato dalla preparazione del complesso videogioco.

La volontà dello spettatore viene esercitata dalla possibilità di scegliere tra due opzioni. Frosties o Sugar Puffs? Accettare o no? Rompere il computer o andare via? In base ad ognuna di queste scelte fatte (alcune più semplici, altri maggiormente complesse), la storia prenderà un certo tipo di percorso e si modellerà in base ad esse. 5 finali possibili e una serie lunghissima di differenti vie fanno si che la durata dell’episodio vari da quella minima di 40 minuti fino a toccare le due ore. Alcuni finali sono più facili da raggiungere, altri più nascosti e lunghi.

I percorsi da toccare sono tantissimi e rendono Bandersnatch il contrario di un episodio lineare. Esso si riavvolge, torna indietro in base alle nostre scelte. E’ possibile che si arrivi subito ad un certo finale o ad un percorso chiuso. In quel caso appare l’opzione “Torna Indietro” ed eccola, la possibilità visionare altri percorsi cambiando le proprie scelte ,è proprio li. Una sorta di game over potremmo dire.

La natura binaria delle scelte ha destato non poche critiche. Come può lo spettatore dettare la sua volontà, essere autore delle scelte del personaggio, se le scelte sono solo due? La possibilità di tornare indietro, cambiando le scelte è quasi un obbligo a seguire un determinato percorso. Questo non è lo sbaglio di un esperimento riuscito non benissimo. Esso è il senso reale di Bandersnatch. E’ proprio il discorso che Colin- programmatore esperto interpretato da Will Poulter– fa a Stefan a chiarire tutto.

Non esiste un libero arbitrio vero. Non lo ha Stefan nell’episodio, in quanto le sue azioni non derivano dalle sue scelte, ma dalle nostre e non lo possediamo neppure noi, in quanto le nostre scelte sono limitate. Si, vi è un numero molto elevato di diverse combinazioni, ma sia i personaggi che lo spettatore iniziano ad avere il presentimento che, nonostante la propria volontà di prendere una decisione, siano guidati verso percorsi già prestabiliti.

Vale la pena riportare le esatte parole che Colin rivolge a Stefan:

“Si pensa che ci sia una realtà, ma sono tante, serpeggiano come radici. Quello che si fa su un percorso influenza quello che succede su un altro. Il tempo è un concetto. Si pensa che non si possa tornare indietro e cambiare le cose, ma si può. Ecco cosa sono i flashback: sono inviti a tornare indietro e fare scelte diverse; prendi una decisione e credi di essere tu a farlo, ma non è così. È uno spirito lì fuori connesso con il nostro mondo che decide cosa facciamo e noi dobbiamo soltanto assecondarlo. 
Gli specchi ti fanno viaggiare nel tempo, il governo controlla le persone, le paga perché fingano di essere tuoi parenti e mette la droga nel tuo cibo e ti riprende. 

Ci sono messaggi in ogni gioco come Pac-man. Sai per cosa sta Pac? P A C: program and control, lui è l’uomo del programma e del controllo. È tutta una metafora. Crede di avere il libero arbitrio ma è incastrato in un labirinto, in un sistema. Può solo consumare. È inseguito da demoni che sono nella sua testa e anche se scappa uscendo dal lato del labirinto, che succede? Torna subito dentro, dall’altro lato. Per le persone è un gioco felice, ma non lo è: è un cazzo di mondo da incubo e la cosa peggiore è che è reale e ci siamo dentro. È tutto un codice, se ascolti bene riesci a sentire i numeri. È un diagramma cosmico che detta dove puoi e dove non puoi andare

C’è dell’altro. Ogni volta che siamo davanti ad un game over e torniamo indietro, troviamo dei mini riassunti che spiegano in pochi secondi quanto accaduto fino a quel momento. Poi eccoci davanti alla scelta da cambiare. Ogni volta che questo accade, nel nuovo percorso, Stefan sembra essere sempre più consapevole di essere la nostra marionetta fino a rivolgersi direttamente a noi, violando quelli che sono sempre stati i confini tra spettatori e attori. D’altronde, sin dai primi minuti dell’episodio, siamo davanti ad un prodotto che rappresenta una vera eccezione. Ma siamo davvero noi alla fine a decidere? O in realtà siamo le pedine di qualcun altro? Siamo tutti nelle mani, alla fine, dei creatori di questo progetto. La possibilità di scegliere è solo un’illusione.

La complessità di questo percorso fa si che la storia non sempre sia chiara o alla fine così tanto avvincente. A volte vi sono momenti di grande pathos alternati a momenti più piatti. Occorre una visione più globale per comprendere il tutto. Addirittura alcuni finali sono più di geniali di altri, che potrebbero risultare scontati o semplici. Il problema è che non tutti vi potranno accedere a causa della diversità dei percorsi scelti.

Apprezzabile come prima prova e anche per il concetto alla base. Vi sono tuttavia, come si è visto, degli elementi da smussare. Un esempio è la lunghezza indefinita. E’ impossibile sapere se l’episodio durerà 40 minuti, un’ora o due, in quanto la tradizionale barra che compare sotto al video dei vari episodi tenendo il tempo, non c’è. Questo per alcuni utenti è stato considerato come un problema, per il consumo della batteria o del piano dati.

Altro punto a sfavore è l’impossibilità di utilizzare la parte interattiva dell’episodio da alcuni dispositivi come Apple TV, impedendo ad una fetta di pubblico.

Nonostante questo, sono assolutamente da elogiare le prove attoriali di Fionn Whitehead – reduce dal grande Dunkirk– e Will Poulter- che ricorderemo ne Le Cronache di Narnia e in Maze Runner- bravissimi nel mostrare deliri e squilibri.

In conclusione, Bandersnatch è  un esperimento interessante, con alcune crepe , ma ha il merito di aver trasportato un concetto chiave proprio del mondo del videogame, su un episodio di una serie tv streaming. Una serie scelta non a caso. Parliamo di Black Mirror, un prodotto che vive proprio perchè basa le proprie storie sull’impatto che la tecnologia ha o potrebbe avere, in casi estremi, sulle nostre vite. E’ un esperimento sì, ma possiamo definirlo rivoluzionario? Probabilmente è ancora presto per dirlo, ma qualcosa si sta muovendo. 

Se non lo avete ancora visto, Bandersnatch è su Netflix che vi aspetta.

A cura di Lagertha