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L’Atelier – I francesi secondo Laurent Cantet

La famosa scrittrice parigina Olivia Dejazet (Marina Foïs) è specializzata in gialli e ha molto successo in tutta la Francia. Un po’ per sfida e un po’ per inseguire i propri ideali, la giovane e attraente autrice decide di tenere un seminario estivo a La Ciotat un paesino che vive di turismo, dopo una lungo passato di lotte sindacali.

Qui Olivia conoscerà un gruppo di giovani molto eterogeneo con lo scopo di creare un collettivo di scrittura e realizzare un libro. All’interno di questo laboratorio di scrittura (appunto “l’atelier”), spicca e disorientano i pareri, spesso violenti e razzisti del giovane Antoine (Matthieu Lucci). Tra Olivia e Antoine deflagra un ambiguo rapporto di repulsione/attrazione.

Presentato al Festival di Cannes 2017 nella sezione Un Certain Regard, L’atelier è forse l’opera più confusa e amabilmente imperfetta di Laurent Cantet. L’autore francese, dopo film come Risorse Umane, A tempo pieno e La classe – Entre les murs, torna a riflettere su temi come il vuoto esistenziale, l’interdipendenza tra uomo e lavoro, le paure generazionali, il desiderio di realizzazione e quello di fuga.

Lo sguardo di Cantet è sempre rivolto al microcosmo francese per raccontare la storia di un popolo in quel preciso momento storico, senza mai dimenticare il suo passato.

Non è un caso che il regista abbia ambientato il suo film a La Ciotat, una cittadina nei pressi di Marsiglia. Non un posto a caso. Qui sul finire degli anni ’80 gli operai francesi diedero il via ad una rivolta cittadina per far valere le proprie ragioni contro la chiusura degli storici cantieri navali.

Ma La Ciotat è anche nota per L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (in francese: L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat o L’Arrivée d’un train à La Ciotat) è uno dei più famosi cortometraggi dei fratelli Auguste e Louis Lumière. Come nel celebre corto, attesa e paura sembra essere gli elementi dominanti. Quando infatti venne proiettato per la prima volta il corto disturbò non poco gli spettatori, non abituati a quelle immagini in movimento.

Cantet sembra quasi voler prendere spunto dai Lumière per creare una linea di continuità con i conflittuali sentimenti del popolo francese ancora frastornato dagli eventi più o meno recenti. Nel film infatti si parla spesso della Strage di Nizza del luglio 2016 o quelli al Bataclan del novembre di un anno prima.

 

Ma l’autore non si ferma qui. Dalle accese vedute del brainstorming tra i ragazzi e l’insegnante escono fuori anche altri temi cari a Cantet, come ad esempio il disagio giovanile e la memoria storica del proprio paese. Il nuovo e il vecchio, le speranze e le paura a confronto in una pellicola, che a tratti sembra perdersi, soprattutto se confrontata con le schematiche e lucide tesi proposte dai precedenti film del regista. Ma L’Atelier è di certo una pellicola che non ha paura di mostrarsi con la fierezza delle proprie imperfezioni, le stesse di un popolo e di un melting pot che affronta una delle pagine più delicate della propria storia.