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American Animals: la peggiore rapina del secolo

“Questo film non è ispirato a una storia vera. Questo film è una storia vera”.

Perché questo coinvolgente heist movie verosimilmente inverosimile, intreccia la storia con il film e i veri protagonisti con gli attori. Retaggio stilistico e dichiarazione d’intenti che l’autore e regista britannico Bart Layton si porta dietro dal folgorante docufilm d’esordio L’Impostore – The Impostor del 2012.

È il 2004 e siamo a Lexington, una pacifica cittadina, nel Kentucky. Spencer Reinhard/Barry Keoghan (Il sacrificio del cervo sacro e Dunkirk) e Warren Lipka/Evan Peters (il mutante Quicksilver nella serie degli X-Men), sono due studenti della locale Transylvania University.

Sono molto diversi tra di loro, eppure amici. Il primo è un diligente studente e figlio amorevole con una spiccata indole artistica. Il secondo non è una “cima”, è al college grazie ad una borsa di studio per meriti sportivi. Ma Warren è anche un brillante manipolatore, uno di quei soggetti che non si sa come, riescono a farti fare e vedere qualsiasi cosa tu non voglia fare, né vedere. I due progettano una rapina. Non sono poveri, non vivono in quella indigenza che spinge le persone, soprattutto i più giovani a fare certe cose. Sembra più una bravata, ma non lo è. La loro è voglia di mangiarsi il mondo. Di non attendere la vita, ma di anticiparne le mosse.

Nella biblioteca delle collezioni speciali della scuola, ci sono le edizioni originali di Birds of America di John James Audubon e de L’origine della specie di Charles Darwin. Sono testi importanti e molto costosi. Ma soprattutto sono troppo vulnerabili agli occhi di possibili malintenzionati. A custodire questi tesori c’è solo una teca di vetro e un’amabile signora di una certa età Betty Jean interpretata da Ann Dowd (The Handmaid’s Tale tra le tante cose). I due coinvolgono anche due amici Chas Allen (Blake Jenner) e Eric Borsuk (Jared Abrahamson). Sembra tutto facile, tutto alla loro portata, ma come sempre accade in un heist movie che si rispetti, qualcosa va storto.

Sorprende ancora questo Bart Layton, un regista interessante, per la sua già ben definita idea di cinema.

Dal suo cilindro, l’autore britannico, tira fuori un’accattivante, scanzonato film di genere che sviluppa con estrema intelligenza e dimestichezza da veterano. Un Ocean’s Eleven dal ritmo serrato è con una importante riflessione sociale come sottotesto. Layton gioca con la sottile linea che divide realtà e finzione. Emblematico da questo punto di vista l’incipit con i personaggi che si truccano a voler introdurre la loro improbabile messinscena. Mischia la ricostruzione filmica ai talking head dei reali personaggi (similmente ad I, Tonya) conferendo veridicità documentaristica alla pellicola che invece si basa sulla bugia. Anzi sulle bugie. Quelle di Warren, quelle ai genitori, quelle “dei” genitori e di un paese intero. Alla fine si arriva alla conclusione che questi meravigliosi Birds of America sono proprio loro, singoli giovani ragazzi in una società che li illude ma al contempo li fa crescere, oppressi dalle più nobili delle aspettative. Un’America che vive e vivrà sempre nell’illusione che “se lo vuoi, puoi ottenerlo”. Meraviglioso l’epilogo finale affidato alle parole di Warren:

“Ti ripetono di continuo che ciò che fai è importante, che sei speciale ci sono cose a cui puoi aspirare, cose che dimostreranno che sei speciale e quanto sei diverso dagli altri, ma nella realtà quelle cose non importano a nessuno e tu non sei speciale.”